Omar Rashid, designer, writer e videomaker italo-iracheno nel 2016, insieme ad Elio Germano, ha realizzato NoBorders VR, il primo documentario italiano ad usare la realtà virtuale. Segnale d’allarme, si chiama così la trasposizione VR di un’opera teatrale “tradizionale”. Omar ha avuto un approccio con questa tecnologia un pò particolare, ovvero attraverso la visione di un porno.
Con il nostro magazine “Il Brevetto“, abbiamo avuto modo di fare una chiacchierata proprio con il pioniere della realtà virtuale nel nostro paese.
Ecco le parole di Omar Rashid
Come sei arrivato al mondo della VR?
Ho fatto un percorso di studi d’arte e di moda ma il mio background è fortemente segnato dalla cultura hip-hop e dal mondo dei graffiti. La mia prima esperienza lavorativa è stata a New York in un’azienda di abbigliamento per skaters. Nel 2002, per motivi “anagrafici” non sono riuscito a ottenere il visto di lavoro: diciamo che non era il momento storico migliore per essere il figlio di un iracheno a New York! Sono tornato a Firenze con l’obiettivo di creare una realtà che fosse un melting pot di tutte le esperienze fatte fino ad allora. Ho creato il brand Gold e ho aperto un negozio di sneakers ma poi lentamente ho capito che era meglio concentrare le mie energie sulla comunicazione e lo storytelling.
Qual è il tuo approccio con le nuove tecnologie?
Con la tecnologia ho sempre avuto un approccio molto influenzato dal mio passato come writer. Non ho spazio per comunicare? Me lo creo! Non ho budget? Uso le tecnologie in modo non convenzionale. Ho iniziato ad usare la realtà virtuale proprio con questo spirito, nel 2013, quando insieme a Giovanni Landi ho creato Gold AR per promuovere il mio brand. Si tratta di una app per smartphone che utilizza la realtà virtuale per trasformare l’ambiente che ci circonda in uno sparatutto a 360 gradi: una volta inquadrato, lo stickers di Gold si anima e inizia a muoversi come un serpente. L’obiettivo è sparare per colpirlo. Quasi per gioco ho inviato il progetto agli Auggie Awards, l’expo virtuale che ogni anno assegna un premio ai migliori software, programmi e app di realtà aumentata. E Gold AR ha vinto il premio come miglior campagna marketing basata sulla realtà aumentata, battendo giganti come Pepsi, Ikea, Absolut Vodka e Wall Mart in collaborazione con Marvel: siamo molto fieri di aver battuto anche gli Avengers!
Il passo successivo è stata la produzione di contenuti audiovisivi?
La mie passioni sono sempre state l’high-tech e l’audiovisivo. Sono super freak e appena esce un nuovo gadget tecnologico devo averlo. E’ andato così anche con i primi visori VK2 nel 2014. Una delle prime cose che ho visto in realtà aumentata è un porno. La mia reazione è stata: davvero si possono fare video del genere con questa roba? Subito dopo ho comprato gli Oculus Gear VR e un set di telecamere GoPro per realizzare i miei primi video in realtà aumentata. Tranquillo, non erano porno! Il primissimo filmato l’ho fatto vedere ad alcuni amici. Tra questi c’era anche l’attore Elio Germano che, dopo un attimo di smarrimento, mi ha chiesto di realizzare qualcosa insieme!
Nel 2016, la VR era una tecnologia completamente nuova: come è stato scrivere le regole di questa “nuovo” linguaggio audiovisivo?
Il primo progetto importante che ho sviluppato con VR è stato No Borders (con regia di Haider Rashid, ndr) il primo documentario italiano in realtà virtuale girato a 360°. Elio è il protagonista e indaga la crisi dei migranti in Italia. Il film si muove tra il Centro Baobab di Roma ed il presidio No Borders di Ventimiglia, città al confine con la Francia che, in quel periodo, era diventata il simbolo dell’emergenza migranti. La realtà virtuale permette alla spettatore di immergersi nella scena esplorandola a 360 gradi. In No Borders si vivono spazi, momenti della giornata, si ascoltano storie e esperienze che coinvolgono i volontari. La realtà virtuale porta ad essere parte di uno spaccato che riguarda ogni giorno di più la vita di ognuno.
Perché usare la VR invece di una telecamera normale?
Con No Borders – ma poi anche con altri progetti successivi – ci siamo posti due mission. La prima era scrivere la grammatica e la sintassi del nuovo linguaggio della VR, quindi sperimentare a livello tecnico e realizzare qualcosa di nuovo. La seconda mission era produrre contenuti di qualità. Ci vuole grande attenzione quando si usano queste nuove tecnologie. La VR è pericolosissima: la gente si isola già con gli smartphone, figuriamoci cosa potrebbe accadere con i visori e le simulazioni immersive. Se usata correttamente, però, la tecnologia VR ha anche un enorme potere di socializzazione e può spingere le persone a uscire dalla propria bolla. E lo abbiamo sperimentato in prima persona con lo spettacolo Segnale d’allarme | La mia battaglia VR del 2019.
Perché? Come ha reagito il pubblico?
Con la VR il pubblico si immedesima con lo spettacolo molto più di quanto potessi aspettarmi. Segnale d’allarme è la trasposizione in realtà virtuale de La mia Battaglia, un’opera portata in scena da Elio Germano che parla della nostra epoca. Lo spettatore è portato a piccoli passi a confondere immaginario e reale e, a tal scopo, le possibilità offerte dalla realtà virtuale sono l’ideale. Attraverso e grazie alla VR siamo portati ad immergerci nell’opera teatrale diventandone parte integrante. La particolarità di Segnale d’allarme è che la proiezione è collettiva. Lo spettatore ha il visore ma è seduto in mezzo a tante altre persone con i loro visori e, nella riproduzione virtuale, può vedere e interagire con gli ‘avatar’ dei suoi vicini. L’immersione è talmente intensa che gli spettatori sono portati a parlare tra loro, applaudire anche quando non dovrebbero o urlare il proprio nome quando Elio li invita a farlo: quanti di noi si metterebbero a gridare davanti alla tv se un attore in un film ci chiede di farlo? Onestamente, credo nessuno: con la VR in sala urlavano quasi tutti!
E la critica come ha reagito?
All’inizio ci hanno preso tutti un po’ per pazzi: fino a qualche anno fa era strano proporre contenuti audiovisivi in VR. No Borders, ad esempio, ha vinto un bel premio a Venezia ma non ha girato, non ci sono state molte occasioni per farlo vedere alla gente. Nel corso degli anni però lo scenario è cambiato, sia perché le tecnologie si sono evolute e sono oggi molto più accessibili – anche dal punto di vista economico – sia perché la sensibilità delle persone è cambiata e siamo molti più ben disposti nei confronti di questi nuovi media. Oggi abbiamo 80 visori e facciamo fatica a soddisfare tutte le richieste che ci arrivano per La Mia Battaglia. Abbiamo fatto anche 6 spettacoli in un solo giorno, tutti con almeno 30 spettatori.
Perché allora c’è ancora una certa ritrosia nei confronti delle nuove tecnologie?
Il rallentamento nella diffusione VR e AR è dovuto, a mio avviso, in gran parte all’inquinamento del mercato da parte di prodotti di scarsa qualità. Oggi le tecnologie sono accessibili a chiunque: con 200 euro di budget puoi acquistare gli strumenti e iniziare a girare video in 360. Ma c’è una bella differenza tra produrre tecnicamente i video e realizzare bei contenuti. Non basta sostituire la telecamere tradizionale con una telecamera a 360 gradi o VR. Si tratta di linguaggi completamente diversi: non è solo un ‘vedere di più’ ma un ‘vedere in modo diverso’. La differenza sta sì nella padronanza del mezzo ma soprattutto nella qualità dei contenuti e nella conoscenza della grammatica di questi nuovi linguaggi audiovisivi: è su questo che bisogna investire tempo, ricerca e tanto impegno!
Con le nuove tecnologie l’arte rischia di perdere la sua unicità: in questo scenario, come si possono o devono muovere gli artisti?
Il liberismo è legato non sono alla politica ma anche all’uso della tecnologia. E penso che la VR, permettendo alle persone di immedesimarsi con le opere, sia un fortissimo strumento di socializzazione. Una volta tolti i visori, le persone vogliono a parlare, discutere di quello che hanno vissuto, confrontarsi. L’isolamento tecnologico può essere superato con contenuti di qualità. Le stesse tecnologie che rischiano di isolare possono essere la soluzione al problema. In Italia ci sono molti artisti che lavorano in questo campo e fanno belle cose. Le applicazioni VR al mondo del cinema, del teatro e dell’audiovisivo devono muoversi in questa direzione: favorire il contatto e aprire il confronto tra le persone!
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sto lavorando a diversi progetti di sperimentazione del linguaggio della VR. Da poco è uscito The Italian Baba – La mia grotta in india: un viaggio virtuale alla ricerca di se stessi. Lo spettatore si immerge nei lontani paesaggi indiani alla ricerca di una guida, un guru. Compiamo un viaggio interiore attraverso le parole del testo A Piedi Nudi sulla Terra di Folco Terzani, di cui Elio Germano è voce narrante. The Italian Baba è un esempio di come la realtà virtuale possa essere lo strumento che ci permette di assaporare e vedere luoghi con i nostri occhi e allo stesso tempo con gli occhi di qualcuno che non siamo noi. Un viaggio a 360° che parla di vite vissute e ancora da esplorare. Ad ottobre (2019) sono stato in Cina per parlare di produzione audiovisiva alla World Conference on VR Industry e il 1 novembre ho lanciato un progetto dedicato alla mia città. Si tratta di un video solistico su Firenze che, a metà, cambia e dà vita ad una riflessione più ampia sulla storia e il destino dell’arte nella società del futuro: il tutto con il supporto della VR!
Omar Rashid è nato in Iraq e cresciuto a Firenze. Termina gli studi al Polimoda di Firenze nel 2002 e, dopo alcune esperienze come designer di abbigliamento fra Parigi e New York, crea la sua linea streetwear e usa canali non convenzionali per farla conoscere. La passione per i nuovi linguaggi e la loro applicazione diventa l’elemento centrale della sua carriera. Nel 2013 realizza Gold AR, app in realtà aumentata vincitrice degli Auggie Award come “Miglior Campagna Marketing basata sulla Realtà Aumentata”. Nel 2016, insieme a Elio Germano, realizza NoBorders VR, primo documentario italiano che usa la realtà virtuale vincitore del premio "Migrarti" del MiBACT al Festival del Cinema di Venezia. Oggi con la sua agenzia Gold Enterprise realizza progetti VR, parallelamente insegna viral marketing e web communication allo IED di Firenze.